THE FLAW OF MODERNITY
Nessuno sa quando e come usciremo dalla crisi. La ragione è che il mondo non procede verso un obiettivo razionalmente prevedibile, ma grazie a mi lioni di uomini che perse guono autonomamente i propri interessi non coordi nati da una sorta di raziona lità storica. È perciò che gli economisti paiono capaci solo di «predire il passato» e qualsiasi intervento della politica, che non si limiti a fissare le regole del gioco, rischierebbe di produrre al tri danni invece di benefici. Per uscirne, e ripartire, l’Ita lia dovrebbe, piuttosto, ri flettere sui propri ritardi e realizzare quelle riforme che l’aiutino davvero a mo dernizzarsi, come ha scrit to ieri Mario Monti.
Non c’è settore — sia del lo Stato, sia del sistema produttivo, a parte certe picco le nicchie industriali — che non registri forti ritardi nell’innovazione. L’Italia della cultura, della politica, dell’economia ha fatto la sua rivoluzione industriale prima di essere una società civile strutturata. Rispetto alla gentry dell’Inghilterra agraria, diventata borghe sia cittadina con la rivolu zione industriale e mercan tile, e cosmopolita col colo nialismo trionfante cantato da Kipling, l’Italia ha avuto i latifondisti reazionari rac contati da Verga, un capitalismo assistito, un naziona lismo tardo e straccione. Rispetto alla grande borghe sia francese post rivoluzionaria — che, con l’Ecole po litecnique e l’Ena, ha generato i commis di Stato re pubblicani e democratici — la società italiana ha espresso una piccola bor ghesia post unitaria priva di coscienza di classe che ha rifiutato la modernità e, con essa, il capitalismo e la libera concorrenza, rifu giandosi nel corporativi smo e nell’autarchia del fa scismo, ieri; nell’assisten zialismo, nel protezioni smo parassitario e nella bu rocrazia del pubblico impie go, poi. Ci siamo affacciati alla contemporaneità senza aver letto un libro — qual cosa di simile alla letteratu ra liberale inglese e france se sulla quale si sono forma te le borghesie di quei Pae si — ma solo attraverso la televisione; che ci ha intro dotti alla modernità «americana » senza aiutarci a en trare in quella «europea». La nostra etica pubblica è bigotta, moralista, pauperista; scimmiotta il puritane simo anglosassone senza averne i fondamenti stori ci, sociali, religiosi, che ne legittimano politica e capi talismo. La nostra idea di democrazia — come si è vi sto negli ultimi tempi — coincide con lo scandali smo fine a se stesso, con il ribellismo alle regole, con il rivoluzionarismo velleita rio che una minoranza esprime spaccando le vetri ne e vorrebbe concretare in rivoluzione col benestare dei carabinieri. Nella sinistra riformista c’è chi ha elogiato la tassa zione, per perpetuare l’ec cesso di spesa pubblica e gli sprechi dello «Stato ca naglia », non accorgendosi che i lavoratori, ora, votano a destra, dove i tributi non li si riduce, ma almeno non li si esalta. Il terrorismo di matrice rivoluzionaria ha ammazzato i riformisti che volevano fare dell’Italia un Paese liberale, democrati co, giusto, e non se l’è pre sa con i conservatori che sullo statu quo ci campava no. - Piero Ostellino, Corriere.it |
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